“È una bella notte d'estate. / Hanno le case alte / le finestre aperte / sull'ampia piazza del vecchio paese.” Sono i primi versi di Notte d’estate del poeta spagnolo Antonio Machado, che Luigi Dallapiccola appone alla partitura della sua Piccola musica notturna. Siamo però distanti dalle suggestive notti spagnole di De Falla e Debussy, dall’autobiografico espressionismo di Casella o dai rumori della natura di Bartók: in Dallapiccola l’oscurità si frammenta in ombre solide come le geometriche e misteriose piazze metafisiche di De Chirico. Un brivido di mistero attraversa anche Le ultime sette parole di Cristo in croce, tra i più grandi capolavori di Franz Joseph Haydn. Anche qui, l’oscurità fa da cornice ideale: racconta il compositore che il vescovo di Cadice commissionava ogni anno un oratorio per la Quaresima, da eseguirsi nella tetra Cattedrale, i cui muri, colonne e finestre erano ricoperti di drappi neri e l’oscurità era rotta solo da una lampada centrale. In questo contesto, il vescovo pronunciava le ultime frasi di Cristo sulla croce, teneva un discorso su ognuna di esse e dopo ogni discorso si prosternava davanti all’altare, lasciando spazio alla musica. Haydn costruisce dunque una sorta di oratorio per soli archi, in cui il testo sottinteso è rappresentato dalle sette frasi attribuite a Cristo dai vangeli: Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno; In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso; Donna, ecco il tuo figlio!; Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?; Ho sete; Tutto è compiuto; Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito.